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Informativa sui soft markers

 


INFORMATIVA sui SOFT MARKER

I soft markers sono dei segni ecografici che pur non essendo espressione di malformazione fetale rappresentano un indicatore di sospetto per il feto affetto da cromosomopatia. In particolare l’attenzione dei ricercatori si è rivolta ai feti che alla nascita erano affetti da sindrome di Down. In circa il 30-40% dei feti Down non è presente, all’ecografia eseguita nel secondo trimestre, alcuna malformazione maggiore (anomalia cardiaca, del sistema nervoso, dell’apparato gastrointestinale, dell’apparato renale, etc.) e questo ha spinto gli autori a cercare dei marcatori, i soft markers, capaci di far sospettare quei feti a rischio di sindrome di Down.
I soft markers utilizzati a tale scopo sono molteplici: plica nucale, cisterna magna ampia, ventricolomegalia border-line, osso nasale, focus iperecogeno intracardiaco (golf ball), intestino iperecogeno, pielectasia, femore corto, omero corto, clinodattilia del quinto dito, alterata morfologia cranica, angolo iliaco, lunghezza dell’ileo, arteria ombelicale singola, etc. Alcuni di questi, come la plica nucale aumentata, l’intestino iperecogeno, la ventricolomegalia border-line, la golf ball e la cisti del plesso corioideo sono più frequentemente associati ad anomalie cromosomiche rispetto ad altri segni quali l’arteria ombelicale singola, la cisterna magna ampia e la pielectasia che sono, se isolati, associati ad aumentato rischio di altre condizioni genetiche (Van den Hof 05).
In realtà uno o più di questi indicatori, che ribadiamo non sono espressione di malformazione fetale, sono presenti nella popolazione di feti sani in una percentuale complessiva di circa il 28%. Nella popolazione dei feti Down la presenza di uno o più soft markers sale al 70%. Secondo alcuni autori il rischio di cromosomopatia aumenta, in media, di 1.9, 6.2 ed 80 volte in presenza, rispettivamente, di uno, due, tre o più marcatori (bromley02).  
Ciò ha determinato, secondo una parte della letteratura, l’introduzione di un “fattore di correzione” capace di modificare il rischio relativo all’età che una gestante ha di generare un bimbo affetto da s. di Down.
E’ opportuno, a questo punto, fare un passo indietro: la s. di Down si verifica una volta ogni 800-1000 nati vivi ed il rischio aumenta con l’aumentare dell’età materna. Vi è unanime consenso nell’indicare a rischio le gestanti che alla nascita del proprio bambino hanno un’età uguale o superiore a 35 anni; tali donne hanno un rischio di 1/250 circa di generare un feto malato. Questa popolazione è considerata a rischio in relazione al fatto che la tecnica più comune per riconoscere con certezza la malattia, l’amniocentesi, presenta un possibilità di aborto quantificabile in un aborto ogni duecentocinquanta  prelievi e pertanto la donna di 35 anni ha le stesse possibilità di perdere il proprio bambino per l’amniocentesi o di generare un feto malato.
In presenza di un soft marker, per effetto del suddetto fattore di correzione, il rischio relativo all’età aumenta in maniera variabile in rapporto al marcatore presente. Pur considerando l’impostazione di questi autori, sorgono delle problematiche dovute al fatto che tra essi non vi è uniformità nel modificare il rischio relativo all’età in presenza di quel determinato soft marker,
Nei casi in cui il rischio complessivo che deriva da “età materna + fattore di correzione” supera 1/250 vi è indicazione all’esecuzione dello studio del cariotipo.
Altri Autori non utilizzano alcun fattore di correzione, ma valutano l’aumento del rischio solo per la presenza di uno o più marcatori ed in particolare alcuni indicano l’opportunità dello studio del cariotipo solo alla presenza di due o più markers mentre altri sono concordi nell’indicare tale opportunità anche in presenza di un solo marker.
Altre differenze esistono tra gli autori in quanto alcuni utilizzano nella ricerca del feto sospetto tutti i soft markers, mentre altri utilizzano solo determinati soft markers eliminando dallo studio tutti quelli difficilmente riproducibili. Per riproducibilità si intende che due o più operatori concordano su una medesima biometria o su un medesimo aspetto diagnostico. Ad esempio i soft markers che hanno una buona riproducibilità sono la plica nucale aumentata, la presenza di cisti del plesso corioideo, l’arteria ombelicale singola.
Alcuni soft markers possono avere significato diverso; ad esempio l’iperecogenicità intestinale, segno di non facile riproduzione in quanto soggettivo e dipendente dal settaggio dell’apparecchio ecografico, il più delle volte non ha alcun significato patologico, altre volte può essere espressione di insufficienza placentare, di fibrosi cistica, di atresia intestinale, di ingestione di sangue da parte del feto, di cromosomopatia. Altro esempio è dato dal femore corto che il più delle volte non si associa a nessuna patologia ma che può essere espressione di una cromosomopatia, di una displasia ossea, di un’insufficienza placentare.
Un discorso particolare meritano quei feti sottoposti a screening per cromosomopatia nel primo trimestre mediante misurazione della translucenza nucale. Tra i feti con translucenza nucale sottile e cariotipo normale i soft markers furono trovati nel 5.2% dei casi mentre nel circa 1% di feti con translucenza nucale sottile ed anomalia cromosomica i soft markers furono riscontrati nel 40% dei casi.
Come si vede la presenza di un soft marker non vuol dire in modo chiaro ed inequivocabile qual è il rischio e quale deve essere il giusto comportamento del medico e della paziente. Il “non avere certezze” rende solo necessario, da parte del medico ecografista, la necessità di segnalarlo, di informare la paziente/coppia e di richiedere, in determinati casi, una consulenza genetica.
Informare la paziente è necessario perché l’esecuzione del cariotipo fetale sottopone la paziente ad un vantaggio ed ad un rischio. Il vantaggio è quello di sapere se il cariotipo fetale è normale o patologico; lo svantaggio è quello di sottoporre la paziente ad un rischio di perdere un feto sano.
Informare la paziente è necessario perché il rischio di generare un bambino Down esiste anche in quei feti che non presentano né anomalie maggiori né soft marker.
E’ necessario ancora spiegare ad una paziente che la morfogenesi fetale è un processo evolutivo e pertanto possono accadere situazioni all’apparenza paradossali. Infatti, una plica nucale aumentata può divenire normale a distanza anche di un solo giorno, così come una o più cisti del plesso corioideo scompare, nel quasi 100% dei casi, entro la 26a settimana.
La più recente Letteratura medica considera come soft markers utili nella gestione clinica i seguenti: plica nucale aumentata, intestino iperecogeno, ventricolomegalia border-line, golf ball, cisti del plesso corioideo (Van den Hof 05), pielectasia ed anomalie biometriche del femore e dell’omero (Smith-Bindman 01, e SS Regione Emilia-Romagna).
Per tale motivo, nel nostro Centro saranno segnalati solo questi soft markers ed alla paziente/coppia verrà consegnata una scheda informativa sul/sui marcatore/i.
L’ampia variabilità di segni e la differente importanza attribuita a questi dai diversi autori fa si, anche alla luce del rischio aborto da diagnosi invasiva, che sia impossibile per il medico indicare la strada più giusta ma la decisione se praticare o no uno studio del cariotipo sarà esclusivamente della paziente/coppia dopo averla resa edotta dei rischi e dei vantaggi.


 
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